Onorevoli Colleghi! - La disciplina del divorzio nel nostro Paese appare molto rigida rispetto alle effettive dinamiche sociali e culturali che il legislatore deve saggiamente accompagnare, senza la pretesa di imporre comportamenti né di intralciare l'autonomia dei soggetti.
      La realtà odierna ci dice che il termine di tre anni, dall'inizio della separazione, per lo scioglimento del matrimonio, non serve in alcun modo come deterrente per la prosecuzione di esperienze di coppia ormai logorate ed invece funziona come intralcio per la formalizzazione delle ulteriori scelte di vita che nel frattempo sono maturate.
      Anche una parte delle istanze che si riferiscono al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto sono legate a queste situazioni necessitate, in cui la convivenza, di fatto, non è una scelta, ma un comportamento obbligato rispetto alle rigidità della legge.
      Per questo, pur mantenendo un periodo di tempo tra la separazione e lo scioglimento e il tentativo di conciliazione affidato al giudice, appare opportuno diminuire ad un anno il periodo di durata della separazione ai fini dello scioglimento del matrimonio. Per converso può rimanere immutato il regime quando vi sono figli minori (modifica all'articolo 3 della legge n. 898 del 1970, contenuta nell'articolo 1 della presente proposta di legge).
      La modifica al codice civile, contenuta nell'articolo 2 della presente proposta di legge, intende sanare il fatto che attualmente la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui passa in giudicato la sentenza di separazione. Ciò comporta l'anomala conseguenza che tutti i beni acquisiti dai coniugi continuano a ricadere in comunione, pur essendo venuta meno la loro convivenza ed essendosi quindi distinte le posizioni personali anche in ordine alla gestione della propria esistenza.
      La situazione reale non corrisponde, quindi, alla situazione legale e tale discrasia comporta l'insorgenza di problemi che hanno interessato il dibattito dottrinario e giurisprudenziale.

 

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